Educare alla speranza

giovedì 30 aprile 2009
Educare alla speranza. Non so se esiste una vera e propria branchia dell'educazione che si chiama così, ma sento che questa espressione può essere un buon punto di partenza per raccontare la mia esperienza di Servizio Civile Internazionale.
Nel 2007 ho partecipato al “Progetto Caschi Bianchi – Corpo civile di Pace” e grazie all'Associazione Papa Giovanni XXIII ho vissuto nove mesi della mia vita al “Cicetekelo Youth Project” di Ndola, in Zambia.
Questa avventura è nata dalla voglia di prendere il mano il copione della mia vita, come scrivevo nel post precedente, e grazie ad una serie di circostanze sono arrivato fino a quelle terre lontane.
A dire il vero non è stato facile prendere questa decisione. Pensavo che superato lo scoglio delle selezioni tutto sarebbe stato semplice. Invece lasciare il lavoro per sempre, allontanarmi per un po' dagli affetti, dalla famiglia, dai luoghi a me cari, tutto ciò si rivelò come un ulteriore ostacolo.
Ma troppa era la voglia di mettermi in gioco e troppo il privilegio di poter vivere un'esperienza del genere.
Il Progetto Caschi Bianchi è parte integrante del Servizio Civile Nazionale, il quale nasce dall'eredità lasciata dagli obiettori di coscienza, e dall'evoluzione successiva delle leggi in materia. Si tratta di un periodo che i giovani dai 18 ai 28 anni possono “spendere” in settori prevalentemente del sociale, in varie associazioni sparse nel territorio italiano ma non solo.
Dopo i primi due mesi iniziali di formazione, uno degli aspetti fondamentali della mia “missione” da Casco Bianco, sono partito alla volta dello Zambia.
Lì ad accogliermi ho trovato i 250 ragazzi del Progetto Cicetekelo. Questa grande struttura è nata più di 10 anni fa dall'idea di Stefano Maradini, missionario dell'Associazione Papa Giovanni XXIII.
Dopo aver visto la condizione dei ragazzi costretti a vivere nelle discariche della città o per le strade del centro decise, insieme a padre Umberto Davoli e Patrick Mulenga, di trovare una soluzione.
Cicetekelo, che in Bemba (una delle lingue zambiane) vuol dire SPERANZA, è stato il filo conduttore, la base da dove è partito tutto.
Ora il progetto è diviso in due fasi. La prima, situata nel compound di Nkwai, accoglie i ragazzi dai 9 anni fino ai 16 anni;in seguito passano alla seconda fase, dove proseguono la loro formazione scolastica e professionale.
Al termine del percorso educativo alcuni dei giovani vengono impiegati direttamente nelle varie attività produttive del progetto. Tra queste l falegnameria, l'allevamento suini, l'orto, l'agricoltura, la scultura della pietra saponaia.
Ogni giorno un turbinio di attività cominciava fin dal primo mattino. Le mie giornate le ho passate principalmente con i ragazzi della fase 1, i “miei teppisti”. Alcuni di loro frequentavano la Community School all'interno del progetto, altri invece studiavano presso le varie scuole governative della zona.
Il mio “lavoro” era quello di organizzare il tempo libero, in equipe con Caterina, mia collega Casco Bianco, il coach del progetto, e gli operatori che tutti i giorni avevano cura dei ragazzi.
Nulla di speciale o di particolarmente complicato a prima vista, ma gestire tutte quelle forze messe insieme non era invece facile.
Nonostante tutto ogni giorno si riusciva ad inventare qualcosa. Lavori con il cartoncino, pomeriggi creativi con tempere e pennarelli, tornei di tutti i tipi, addirittura le olimpiadi durante i periodi di vacanza, con tanto di squadre e premiazioni. Non sono mancate poi attività più “serie” come la biblioteca, la scrittura, fino ad arrivare alla produzione di un vero e proprio giornalino (puoi leggerlo quì) creato interamente dai ragazzi più grandi!!
E quando si poteva (i ragazzi lo avrebbero voluto tutto il giorno) ore e ore di calcio sotto il sole cocente...e naturalmente scalzi.
A quasi due anni di distanza mi chiedo che cosa mi sia rimasto di quella esperienza, e che cosa sia rimasto di me laggiù. Di sicuro ho imparato l'importanza di ascoltare e non giudicare, di sforarsi sempre e comunque di apprezzare le diversità, anche se molto spesso non le tolleriamo.
Come non parlare poi della speranza. È proprio vero che si riesce ad essere contagiosi alle volte, ma non solo con le malattie.
Quei bambini, quei ragazzi mi hanno contagiato la voglia di vivere, nonostante tutto. Sono stati i miei educatori, magari non avranno molte carte deontologiche come riferimento, ma le norme etiche me le hanno insegnate nella quotidianità. Nello stare assieme a tavola davanti alla stessa polenta, nel camminare insieme su strade polverose, nel ridere delle mie unghie rotte nelle prime partite di “calcio zambiani”, nel condividere piccoli pezzi di quotidianità.
Un progetto nato per dare speranza. Se dovessi fare una verifica, come si usa sempre fare quando c'è un progetto, direi che gli obiettivi sono stati centrati in pieno, e forse anche superati.
Quella speranza che i ragazzi ricevono, grazie ad una nuova e più dignitosa condizione di vita, esce da quella realtà così lontana. È arrivata fino a me e a tanti ragazzi che hanno avuto il privilegio di vivere un'esperienza come la mia...ed è arrivata fino a questo blog.
E allora l'educazione alla speranza potrebbe essere proprio questo: un impegno che parte da qualche parte nel mondo, ma che si propaga senza confini e che ci rende responsabili l'uno con l'altro.
Una nuova disciplina di cui tutti noi siamo responsabili in cui ci impegniamo a “nutrire” di speranza chi ne è affamato, soprattutto tramite gesti concreti, e allo stesso tempo ci lasciamo nutrire.
E Cicetekelo Youth Project, con l'impegno di tutti coloro che ci lavorano, è un piccolo esempio di educazione alla speranza.
E voi siete pronti a educare (e farvi educare) alla speranza?

Attori e Spettatori

mercoledì 29 aprile 2009
Parlare di educazione può risultare facile, anzi, forse lo è.
Tutti in quanto persone recitiamo la nostra parte in questo teatrino del mondo e tutti, chi più chi meno, diventiamo protagonisti di rapporti, relazioni, che incidono anche in maniera significativa negli altri.
A volte preferiamo invece rimanere spettatori, osservare gli eventi che passano, farci trascinare dal mondo che scorre. Come stanche comparse ci lasciamo trasportare dal flusso della vita, ritagliandoci al massimo qualche piccola battuta per giustificare almeno la nostra presenza in questo set dell'esistenza.
Attori e spettatori che si incrociano, tutti in affannosa ricerca del proprio camerino, del proprio palco, e se capita del momento di gloria e magari del tanto atteso applauso.
Da buon attore di questa meravigliosa rappresentazione, chiamata anche vita, anch'io nel tempo ho recitato la mia parte, e ne ho incontrate di persone che mi hanno cambiato la vita aiutandomi a scrivere il mio copione.
E questi incontri sono stati una sorta di educazione alla vita, un punto da cui cominciare ad interrogarmi su me stesso e sulle scelte da fare.
E fra queste come non ricordare l'esperienza che ho vissuto in Zambia nel 2007 ne progetto Caschi Bianchi, nell'ambito del Servizio Civile.
Nove mesi vissuti al Progetto Cicetekelo che accoglie più di 200 ragazzi di strada e con problemi gravi alle spalle. Una realtà che mi ha mostrato le potenzialità dell'educazione anche nei paesi “poveri”.
A questo progetto, a quei ragazzi, ai loro sogni vorrei dedicare il prossimo post.
Intanto continuiamo a riscoprirci attori delle nostre vite, e che ognuno nel suo piccolo ruolo non si riduca mai a semplice spettatore o comparsa. Anzi, proviamo insieme a scrivere in nostri copioni, soprattutto chi ha scelto di vivere la vita da educatore!

Cos'è Edu-Care?

giovedì 9 aprile 2009
Edu-Care nasce da un semplice gioco di parole che per me racchiude un grande significato. Da una parte l'educazione, attività in cui tutti siamo coinvolti, dalla più piccola situazione quotidiana, alle più grandi dinamiche globali. E dall'altra il termine "Care", cioè prendersi cura, preoccuparsi, usato anche da don Milani nel famoso motto della scuola di Barbiana: "I care" - mi importa, ho a cuore.
Questo blog vorrebbe essere il punto di partenza per proposte educative che partano dalla quotidianità, dalla realtà che ci circonda, fino ad arrivare ai confini del mondo. Un luogo di incontro fra culture, uno spazio di riflessione dove poter condividere tutto ciò che può essere utile a "prendere a cuore" l'educazione.
Particolare riguardo sarà riservato all' educazione nei Servizi Sanitari, ambito per il quale sto studiando.
Edu-Care si propone inoltre di tenere sempre un occhio aperto verso il mondo, di raccogliere esperienze, idee, notizie, e tutto ciò che può arricchire noi e questo piccolo mondo virtuale...nella speranza che ciò che viene "digitato" possa essere trasformato in pratiche concrete!