"Sono un Educatore Professionale" - "Interessante:...e che lavoro fai?"

venerdì 19 giugno 2009
Preparando l'esame di Deontologia Professionale, sono capitato nel sito dell'ANEP, l'Associazione Nazionale Educatori Professionali, per visionare il Codice Deontologico.
Mi ha subito incuriosito una vignetta che appare in una delle schermate del sito. Uno fa all'altro “Sono un Educatore Professionale”, e l'altro risponde “Interessante:e che lavoro fai?”.
In una piccola vignetta umoristica molte verità della professione che andremo a fare.
Come affiorava dai commenti ad un post precedente, il riconoscimento della professione dell'Educatore è ancora alla fase embrionale. Capita spesso che mi chiedano cosa stia studiando, e che tipo di figura professionale sia l'Educatore. Se questo può essere tollerabile in discussioni con i non addetti ai lavori, diventa meno accettabile quando si ha a che fare con figure che lavorano magari in contesti sanitari, educativi, o comunque nel sociale.
La mancanza di riconoscimento porta anche ad una sorta di avvilimento in chi sceglie di intraprendere questa bellissima professione. Se da una parte non si è riconosciuti, dall'altra anche le gratificazioni economiche sono poche; questo forse è legato all'incapacità di far valere la preziosissima opera che l'Educatore presta in molti contesti.
Come porre rimedio a questa situazione? Sicuramente insistendo sul continuo aggiornamento e perfezionamento del Codice Deontologico, vera e propria Carta d'Identità della Professione. Tramite questo documento chiunque potrà conoscere chi è un educatore, come avviene per molte altre professioni, anche sanitarie.
Un altro sforzo va fatto dagli educatori stessi, e dagli studenti, per portare nelle sedi istituzionali la loro voce, magari con la creazione di vero e proprio albo, che darebbe finalmente una delineazione più precisa di ciò che finora risulta confuso in una miriade di figure più o meno professionali.
Nella quotidianità inoltre è necessario che ognuno si impegni, anche negli ambienti informali, a diffondere e ad educare la “persona comune”, mettendo al corrente dell'esistenza dell'educatore professionale, cercando di trasmetterne le potenzialità e le molte utilità.
E' una battaglia che va fatta insieme, anche “sfidando” le istituzioni, che molte volte si dimostrano sorde a questi temi, schiacciate da problemi di carattere economico e da opportunità di vario tipo.
Ci vorrà del tempo, ma soprattutto ci vorrà la voglia di farlo e di mettersi in prima linea. Se ciò non avverrà significa che nemmeno noi crediamo veramente in noi stessi e nella figura dell'Educatore Professionale, e ci troveremo ancora a sorridere amaramente di vignette come quella che ho trovato nel sito dell'ANEP.

La paga dell'educatore

martedì 9 giugno 2009
Qualche giorno fa ho avuto l'occasione di incontrare Enrico, un carissimo amico, che lavora come Operatore Socio Sanitario presso un CEOD in provincia di Verona. Mi sono trovato spesso a condividere con lui varie esperienze, e tuttora mi piace conoscere la sua attività lavorativa, anche in vista della mia probabile futura professione di educatore.
Si è parlato anche dell'aspetto economico, argomento che come sempre interessa, appassiona e a volte affanna tutte le categorie di lavoratori.
Come è noto nel sociale le paghe non sono così lussuose questo mi è stato confermato anche da lui, nella sua esperienza lavorativa pratica. Spesso colleghi si sono lamentati per salari ritenuti inferiori rispetto all'impegno profuso e al carico di lavoro.
Io di solito tengo in ogni cosa per ultimo l'aspetto economico in tutte le cose che faccio, ma come ogni essere che si trova a vivere in questo sistema economico, mi pongo anche questioni di questo tipo, visto che non riesco ancora a vivere senza denaro!!
Enrico però mi ha spiazzato con un'affermazione semplice, ma allo stesso tempo piena di significato. “La paga dell'educatore, come la mia, è già di per se lavorare in quel contesto. Il rapporto con i “miei ragazzi” costituisce una buona parte della mia paga.”
Questa sua affermazione mi ha fatto riflettere parecchio. E' davvero questa la verità? Oppure è un goffo tentativo di giustificare il proprio lavoro, a volte così duro, e molto spesso sottovalutato e sottopagato?
Poi, scavando nella mia quotidianità, ho scoperto quanto sia vero ciò che mi era stato detto, pur nelle mie limitate esperienze da educatore.
E' arrivata l'estate ed anche quest'anno nel mio Comune (Casalserugo), è tempo di Centri Estivi.
L'anno scorso ho avuto la fortuna di essere uno degli animatori, incaricati dall'Amministrazione di organizzare le attività educativo-ricreative per tutto il mese di Luglio.
Un'esperienza sicuramente faticosa, ma altrettanto arricchente e coinvolgente, sia per noi animatori, sia per i bambini e le loro famiglie.
Quest'anno non farò parte del team organizzativo, ma sono molti i genitori che in queste settimane mi hanno fermato per le strade del paese, chiedendomi se sarei stato ancora fra gli animatori.
Questo piccolo segno per me è un grande dono. Significa che tutta la fatica fatta a seminare qualcosa anche piccolo, insignificante, ha prodotto invece qualcosa. La fiducia instaurata con i genitori, i risultati delle attività proposte, l'entusiasmo dei bambini ancora vivo a distanza di un anno.
Anche questa è la paga dell'educatore. Una paga non fatta di soldi, ma di piccoli gesti, di riconoscimenti, di relazioni create, di fiducia...in fondo ciò che veramente da forza e motivazione all'agire educativo, forse più di premi economici o gratificazioni. Una piccola lezione, che dovrò tenere bene in mente anche nel mio futuro percorso lavorativo.

Il sogno possibile

mercoledì 3 giugno 2009
Dopo essere tornato dalla mia esperienza di servizio Civile in Zambia sono state molte le occasioni di confronto e di scambio di idee con svariate persone e in diversi contesti.
Settimana scorsa ho avuto la fortuna di essere invitato dalla mia Professoressa di religione delle superiori a tenere una testimonianza sul Servizio Civile.
Ciò che mi ha subito entusiasmato è stato il fatto di poter tornare proprio nella scuola che io stesso ho frequentato qualche anno fa. Si tratta dell'Istituto Tecnico Industriale Guglielmo Marconi di Padova, dove ho conseguito il diploma di Perito Termotecnico.
Si trattava di parlare del Servizio Civile ai ragazzi di quinta, portando la mia esperienza, le dinamiche, il contenuto dell'incontro era tutto da inventare.
Mi sono trovato così ad attingere dalle mie esperienze precedenti per trovare un modo di essere compreso e di far passare il messaggio che avevo in testa a questi ragazzi che pensavo non molto interessati.
Immaginatevi classi di 20 giovanotti, durante l'ora di religione (che a volte viene presa un po' sottogamba), in pieno periodo pre esami e immersi nelle ultime interrogazioni di fine anno. Aggiungiamoci poi che molti di loro, pensando anche alla mia storia scolastica, sono proiettati verso il mondo del lavoro, tutto ciò mi faceva pensare che una tematica come il Servizio Civile non fosse certo in cima ai loro interessi.
Così, anche in collaborazione con l'insegnante, ho pensato di partire da una cosa che sicuramente li coinvolgesse: i loro sogni.
Lo schema dei 50 minuti che avevo a disposizione per ogni classe era così distribuito:
  • Proiezione de “Il crocevia”, breve cortometraggio girato e montato insieme al mio amico Cristian Cesaro, dove raccontiamo con immagini e parole la vita di molte persone, ragazzi e bambini inclusi, all'interno di una discarica zambiana.
    Si sa, le immagini funzionano molto bene, soprattutto quando c'è da rompere il ghiaccio e creare un'atmosfera senza usare troppe parole.
  • Mi presento in poche parole, racconto la mia esperienza del Servizio Civile, e del percorso che mi ha portato a tale scelta, passando anche per il mio percorso scolastico. È stato importante per me con i ragazzi sottolineare questa mia affinità con loro, almeno dal punto di vista del corso di studi, per avvicinarmi a loro, per creare un po' di confidenza e non apparire come una sorta di “super eroe” o di “rivoluzionario”.Nel parlare del Servizio Civile, ho raccontato in termini il meno pesanti possibili in breve il cammino con cui si è arrivati a tale istituzione, richiamando termini quali l'obbligo di leva, l'obiezione di coscienza, ed infine il SCN.
  • Invito i ragazzi a presentarsi, chiedendo ad ognuno di condividere con gli altri un proprio sogno, un'aspettativa per il proprio futuro.
  • Poi con l'aiuto della lavagna abbiamo iniziato una chiacchierata proprio a partire dai loro sogni messi a confronto con i sogni dei ragazzi zambiani, magari proprio quelli che avevamo visto nel documentario, o quelli ospitati al progetto Cicetekelo, dove ho svolto servizio.
Per permettere e provocare questo confronto, ho raccontato di una sera delle tante passate con i ragazzi zambiani a chiacchierare insieme. Quella sera eravamo radunati nella “sala giochi” del Progetto. In sottofondo la tv sintonizzata in uno dei tanti canali sportivi satellitari ronzava qualcosa in inglese. In quella serata che non dimenticherò mai chiesi loro quali sogni avessero per il futuro, i desideri per la loro vita. Uno mi rispose “Io vorrei fare il calciatore, per avere i soldi, giocare all'estero, girare il mondo e essere circondato da belle donne”. Un altro “Io invece vorrei diventare pilota d'aereo per girare e vedere il mondo, per scappare da questo paese”. Un altro ancora”Io vorrei fare i soldi, non so come, ma vorrei diventare ricco per non avere più il pensiero di cosa mangiare, di come poter sfamare la mia futura famiglia etc”.
In quel momento mi prese lo sconforto. Ma come era possibile che avessero sogni così “banali”. Sembravano gli stessi sogni di ragazzi del nord del mondo senza molti ideali e senza molte pretese.
Mi scaldai un po' e dissi loro “Ma come? Ma nessuno di voi sogna di rendere migliore il vostro paese, magari scendendo in politica, oppure studiando all'università per e mettere a disposizione la propria vita per le moltissime cause di ingiustizia che dilaniano il vostro paese? Nessuno vuole qualcosa di più? Qualcosa di meglio?”.
Con il mio piccolo inglese ho detto ciò che mi sembrava ovvio in quel momento.
I ragazzi con molta semplicità mi risposero “Tu parli bene. Ma è troppo facile parlare così quando sei bianco, hai un biglietto aereo di ritorno per il tuo bello e ricco paese, un po' di soldi a disposizione, una famiglia che ti vuole bene e che ti sta aspettando e che farà sempre di tutto per proteggerti. Troppo facile parlare di sogni grandi caro amico”.
In quel momento mi si raggelò il sangue. Non sapevo più cosa dire. Le loro poche parole mi avevano fatto sentire piccolo, inutile quasi. La mia ingenua superbia era stata cancellata in un attimo. Tutte le cose che avrei voluto dire avevano perso senso.
La serata si concluse così, con quella lezione che quei ragazzi mi avevano donato e che non potrò mai dimenticare.
È proprio vero, le possibilità che noi abbiamo nella vita sono tantissime, le loro “un po meno”.
Da questo spunto sulle possibilità che noi abbiamo si è sviluppata la condivisione con i ragazzi, durante l'ultima tappa dell'oretta a disposizione. Quali sono le nostre possibilità? E quali sono quelle dei ragazzi zambiani?
Dopo la maturità ognuno di loro può scegliere una moltitudine di cose. L'università e i suoi innumerevoli corsi, il lavoro, anzi molti tipi di lavoro, si può scegliere di partire e fare i vagabondi, di partecipare ad un concorso per entrare nell'Esercito, si può buttarsi in politica, si possono fare i mantenuti...e si può di aderire al Servizio Civile. I ragazzi con cui parlavo quella sera al progetto invece potevano unicamente scegliere se continuare a frequentare i programmi proposti, oppure ritornare a vivere nella strada.
Dalla discussione è emerso che la distanza che ci separa dai ragazzi zambiani è fatta si di povertà, mancanza di educazione, e altri fattori, ma è data soprattutto dalla differenza fra le nostre possibilità e le loro. Spesso non ci rendiamo nemmeno conto di quanto possiamo fare se solo mettessimo a frutto le nostre capacità e le condividessimo.
La lavagna fra vari scarabocchi, alla fine dell'incontro ha preso una forma nuova. Si è arrivati a capire che in quella distanza che ci separa ci siamo proprio noi, con le nostre scelte, con i nostri sogni. E i sogni di molti ragazzi nel mondo potrebbero dipendere anche da come metteremo in atto le nostre opportunità.
Ecco che finalmente si arriva al Servizio Civile come vera e propria opportunità per fare questo.
Una scelta che, come dice lo slogan, ti cambia la vita, la tua e quella degli altri.
Nelle otto classi quinte che ho incontrato ci sono state discussioni diverse, ed ognuna ha portato a riflessioni diverse. Si è arrivati a parlare di razzismo, di diversità, di respingimenti, di mondo del lavoro, di crisi etc. Insomma un sacco di spunti che avrebbero meritato sicuramente più tempo.
Ciò che mi ha colpito in tutte le situazioni è stata la voglia di mettersi in gioco dei ragazzi.
Questo è stato anche il frutto di alcuni importanti fattori. Fra questi la disposizione dell'aula: niente banchi ma un grande cerchio di sedie per eliminare i limiti della lezione frontale. Il linguaggio usato, mai troppo difficile o ricercato, anzi molto vicino a quello delle situazioni informali quotidiane. Lo stesso percorso di studi, come accennavo prima, ha facilitato di molto il dialogo. Ma soprattutto penso l'averli spiazzati chiedendo loro un sogno da condividere con i compagni di classe, persone di certo conosciute, ma molto spesso solo superficialmente.
Questo mix di piccoli e semplici fattori ha portato secondo me ad una buona riuscita degli incontri. Molti ragazzi mi hanno fermato a fine lezione, chiedendomi ulteriori informazioni sulla mia esperienza sia in Servizio Civile sia scolastica (vedi dritte per l'esame di maturità...vista l'incombenza di tale impegno).
Da una cosa pensata in un modo e man mano sviluppata e adattata in altre forme è nata questa piacevole esperienza, almeno per me, che spero possa essere ripetuta anche l'anno prossimo.
Il confronto per me è parte fondamentale del mio diventare educatore. Anche questa occasione è stata un tassello di questo sogno possibile che man mano sto provando a portare avanti.
E spero davvero che tutti i sogni che i ragazzi hanno condiviso con me possano diventare realtà, e che qualcuno trovi davvero nel Servizio Civile lo spunto per scoprire il suo sogno possibile, che possa essere messo a servizio anche di chi nasce con un destino segnato, aiutandoli a realizzare i propri sogni altrimenti impossibili.