I miei piedi sporchi a fine giornata

lunedì 25 maggio 2009
Desidero condividere con voi questa lunga mail che ho scritto agli amici circa due anni fa, durante il mio Servizio Civile in Zambia.
Un piccolo ricordo che ho riletto con piacere anch'io, un sorta di richiamo anche per me stesso, un allarme a non rilassarmi troppo.
" … È proprio vero. Più cose si hanno
e più ci si allontana dalle persone. Più la corsa

a possedere cose è sfrenata, e più ci si chiude,
pensando che possedendo tutto quello che ci serve (e più),
si possa fare a
meno degli altri.
E quanto tempo perdi
amo in questa corsa,
tempo che togliamo ai rapporti con le persone,
a noi stessi…alla vita!!

Forse dovremmo davvero, io per primo,
sbarazzarci di tante COSE inutili, per vivere meglio la vita,
e soprattutto per condividerla …
"
Questo è il messaggio centrale di questa mail, che riporto per intero.
Spero apprezzerete, ogni riga contiene un piccolo pezzo di me e della mia vita.

Ndola,12 maggio 2007

Ciao cari amici!! Ci riprovo!
Dopo aver perso tutti i dati dell’ultima mail che vi volevo mandare ci riprovo...e stavolta spero vada bene!!
Qui la VITA procede bene, ricca di spunti che non mi permettono di annoiarmi nemmeno per un minuto.
In questa lettera vi racconto la visita ad un Centro Nutrizionale, che ho avuto la fortuna di vivere lunedì.
Che cos’è un centro nutrizionale? Sono strutture situate in molti compound della città di Ndola( e non solo), che offre assistenza a bambini con problemi di malnutrizione e alle relative famiglie, che spesso vivono in condizioni di miseria.
Partiamo di buon’ora diretti all’ufficio del Progetto Raimbow, un programma dell’Associazione Papa Giovanni XXIII che si occupa di coordinare e sostenere le varie associazioni che operano nel territorio a sostegno dei bambini orfani di genitori morti di AIDS. E nelle sue attività sostiene e crea una rete fra i vari centri nutrizionali esistenti.
Siamo io, un’altro ragazzo italiano che da un po’ di mesi vive con la sua famiglia qui in Zambia e un’altra volontaria sempre italiana.
Da subito capisco che sarà un’escursione particolare! Charity, la responsabile del centro nutrizionale che andremo a visitare,ci invita a salire sul cassone del camion,in mezzo ai sacchi di farina!!
La giornata è limpida. Qui la stagione sta cambiando e la mattina fa un po’ freschino. Ma io ancora devo capirle le stagioni come funzionano in Zambia. Io in magliettina e pantaloncini corti capisco subito che non avevo l’abbigliamento adatto...il fresco della mattina mi penetrava nelle ossa!!
Cominciamo bene...pensavo.
Prendiamo la strada che dalla città porta verso le sue sterminate periferie.
Attraversiamo mercatini, passaggi a livello, incrociamo centinaia di persone che camminano ai bordi della strada verso una nuova giornata che stava iniziando.
Alcuni incuriositi da quei tre “musungu”(stranieri, bianchi) che viaggiano nel cassone del camion ci sorridono.
Proprio oggi ricominciata la scuola e gruppetti di ragazzi e ragazze, tutti con la loro divisa ufficiale, stanno andando verso le lezioni...rigorosamente a piedi.
Ad un certo punto finisce l’asfalto e comincia la strada sterrata(se strada si può definire), segnale che stiamo entrando in un compound. Si perchè nei compound i servizi sono ridotti all’osso. In effetti a che cosa può servire una strada asfaltata se nessuno o quasi ha la macchina??
Tutti i compound sono simili. Curioso notare come sono costruite le case man mano che si prosegue verso il centro...di solito il punto in cui la miseria è maggiore.
Le prime “abitazioni” che incontro sono di mattoni in cemento e tetti di lamiera, ognuna con un piccolo giardino. Nulla a che fare con i nostri quartieri, ma almeno una parvenza di dignità la conservano.
Il nostro camion prosegue facendo slalom fra le buche della strada, veri e propri crateri.
Intanto alcuni bambini ci rincorrevano, sorridenti e incuriositi dalla nostra presenza. Incuranti di mangiare la polvere sollevata dalle ruote e il nero smog del camion sembrano scortarci a destinazione.
I cumuli di rifiuti a lato della strada sembrano essere li apposta per delimitare il nostro percorso.
Ci stiamo avvicinando al nucleo più interno del compound. Lo capisco dalle case, ora costruite di terra e come tetto teli di nylon riciclati, paglia e piccoli pezzi di lamiera raccattati chissà dove.
Anche gli spazi si fanno più stretti. La strada e ormai poco più che un sentiero.
Finalmente arriviamo al centro nutrizionale, dove ci accoglie una ragazza che fa gli onori di casa.
Questa struttura si presenta molto bella e ospitale per essere nel mezzo di un compound.
Le attività che vi si svolgono sono molte. Oltre all’assistenza alimentare a neonati e bambini, vengono date lezioni alle mamme su come nutrire i propri piccoli.
Esiste inoltre un piccolo centro di accoglienza dedicato ai bambini abbandonati o senza parenti e 4 classi in cui viene offerta gratuitamente la scuola a molti bambini del compound.
La nostra guida Lucky(non so se si scrive così) ci invita a seguirla per visitare alcune famiglie sostenute dal Centro.
Ebbene si, finalmente andiamo in strada, proprio all’interno del compound di Kabulonga, uno dei più poveri di Ndola. Si va ad incontrare la gente e, almeno in parte, entrare nelle loro vite.
La particolarità di questo compound è la zona in cui costruito. Una serie di colline si uniscono fino a formare una grande vallata. Mi sembra di essere nell’Appennino, è che di agriturismi qui non ce ne sono!
E il le baracche si inerpicano proprio in una di queste colline.
Prendiamo un piccolo viottolo e passiamo proprio in mezzo ad un piccolo mercato, dove decine di donne sono intente alla vendita.
La “strada” prosegue in salita.
Incontriamo un gruppo di donne ai bordi della strada, una piccola squadra di “stradine” improvvisate, impegnate a sistemare i danni lasciati dalla stagione delle piogge.
“Questa è J., una delle donne più forti del nostro compound!”, ci dice la nostra accompagnatrice.
J si gira verso di noi, sorridente. Appoggia la zappa che aveva in mano, si gira verso di noi, un piccolo inchino e un saluto. Il suo viso sotto i raggi del sole che si erano fatti roventi sudava.
La sua espressione affaticata era sottolineata dalle rughe che già portava nel volto, nonostante la sua (presumo) giovane età. Le mani poi, segnate da una vita di lavoro e fatica, sembravano più quelle di un muratore che di una donna.
Ma quel sorriso e quegli occhi emanavano una luce particolare, quasi contagiosa. È come se avesse qualcosa di “magico”, e che questo qualcosa venisse verso di noi...una sensazione che non so spiegare.
Salutiamo tutto il gruppo di donne e proseguiamo verso l’abitazione di una delle famiglie assistita dal centro nutrizionale.
Arriviamo ad un piccolo spiazzo di terra. Alcuni bimbi stanno giocando con gli aquiloni...e che aquiloni!! Come telaio del filo di ferro recuperato e come tela delle buste di plastica...e come riuscivano a farli volare. Questi bambini hanno una fantasia...e riescono a creare qualsiasi cosa anche da un rifiuto....questa cosa ancora mi affascina.
Ma la novità di 3 “musungu” che camminano nel loro compound è troppo forte, tanto che prendono su l’aquilone e si mettono a seguirci!!gridando e ridendo creano una sorte di richiamo e in pochi minuti di nuovo ci ritroviamo con una “nuvola” di bambini dietro.
Ormai la mia vista era rapita dalle mille cose che mi circondavano. Ma anche l’olfatto sembrava aiutarmi a completare quel quadro. Da una parte l’odore di fogna mischiato ad un altro molto forte di alcol penetravano nel mio naso, ed ancora di più mi facevano capire in che luogo mi trovassi.
Davanti ad una piccola casupola di terra troviamo un’anziana signora con due bambini, intenta a preparare qualcosa per il pranzo: un pentola messa sopra al carbone con un po’ di “Nischima”(la polenta) ed un’altra con alcune verdure, nulla più.
Lucky comincia a fare le presentazioni e ad un certo punto dalla piccola porta della baracca escono altri 2 bambini, di cui una piccolissima. L’anziana signora ci sorride e ci dice qualcosa in Bemba.
Ci invita ad entrare in casa. Entriamo per la piccola porta nell’unica stanza. In un angolo alcune stuoie arrotolate, in un altro alcuni recipienti. Alla parete un vecchio calendario e per terra alcun “Icitenghe”, grandi stoffe che le donne usano per moltissime cose,come vestito, o per legarsi alle spalle i bambini,oppure come appoggio per la testa per trasportare quei pesanti cesti carichi di merci.
La nostra guida nel frattempo ci racconta la storia di questa famiglia. L’anziana è la nonna di quelle quattro creature. La mamma è morta da poco per AIDS, e il papà ormai da diverso tempo aveva fatto perdere le sue traccie.
In 1 minuto digerire una storia del genere per me non è stato facile. e soprattutto vedere il volto di quella donna e pensare al carico che deve portare sulle sue spalle....
E nonostante tutto il sorriso. un sorriso di speranza ricco di tutto, al contrario del nulla che possedeva.
Piccoli chiodi che si piantano nella mia mente...piccole ferite(benigne) che solo i poveri ti sanno provocare. Ferite create apposta per tenermi sveglio, anche quando ho la tendenza a rilassarmi o a diventare pessimista. Come si può essere pessimisti quando anche in una vita così piena di traumi c’è ancora chi riesce ad avere speranza.
La nostra piccola comitiva riparte...e riparto anch’io, ma lascio davanti a quella baracca, ai piedi di quell’anziana un pezzo di me, come se mi avesse messo un po’ a nudo.
L’odore di alcol si fa più acre, vediamo degli sbuffi di vapore salire al cielo, provenienti da una baracca mezza crollata a causa delle piogge.
Ed ecco da dove veniva quell’odore che saturava l’aria. Un bidone, una tanica d’acqua,una piccola bottiglia. Una distilleria improvvisata di “Cachasso”(non so se si scrive proprio così...).
È una bevanda molto alcolica prodotta con tutto quello che è possibile far bollire e distillare:scarti dei verdure, canna da zucchero, e ogni altra cosa. Il risultato è una sostanza super alcolica e super economica(1500kwaca a bicchiere, circa 30 centesimi). La bevanda dei poveri la chiamano. Ed è proprio vero. Si fa presto ad ubriacarsi e a dimenticare almeno per un po’ le asprezze della vita nel compound.
Lungo il nostro cammino ne incontreremo tantissimi di questi produttori improvvisati.
Come è triste pensare che vendono questa bevanda che brucia i cervelli, le persone e le speranze proprio a loro stessi “fratelli”. E per molte famiglie è l’unica entrata, e l’unico modo per poter comprare qualcosa da mangiare.
Fratelli che “bruciano” i loro stessi fratelli....e il tutto per sopravvivere!!!
Incrociamo due ragazzi, visibilmente ubriachi, che ci chiedono soldi, lavoro...la solita triste storia.
Per fortuna siamo accompagnati. Anche durante il giorno è pericoloso girare per questi posti, dove purtroppo alcune persone, i più deboli, vengono abbruttite e incattivite dalle condizioni in cui vivono.
La strada sale per la collina. Io con le mie infradito faccio un po’ fatica, ed i miei piedi piano piano stanno prendendo il colore della terra di questi luoghi.
Lucky ci accompagna fino al punto più alto della baraccopoli, da dove(dice lei), si possono fare delle foto panoramiche. Si vede che è abituata ad accompagnare benefattori, turisti, personalità zambiane varie che vengono a visitare il centro nutrizionale. Tutti a caccia di foto, tutti a caccia di giustificazioni per vedere, anche giustamente dove vanno a finire i soldi donati etc...
Io con le foto in questi posti faccio sempre fatica. Già è una sfida ogni volta sostenere l’incontro con le persone di questi compound, figuriamoci a fare le foto. Mi pare di essere allo zoo.è che qui ci sono uomini e donne in carne ed ossa con le loro storie e le loro vite. Ed ogni foto per me è come togliere un pezzettino di dignità, quella dignità che provano a conquistarsi ogni giorno...nonostante tutto.
Comunque i miei compagni hanno fatto alcune foto, anche a me. Quando le avrò ve le mando.
Dopo poco arriviamo in cima alla collina. Entriamo in un piccolo recinto che fa da ingresso ad un altrettanto piccola abitazione. Ci accoglie una ragazza, molto giovane e molto bella, intenta a stendere il bucato. Sulle spalle portava un bimbo piccolissimo, e altri due le giocavano intorno.
Anche lei molto gentile ci fa entrare in casa. Anche qui dentro regnava l’essenzialità assoluta.
Ad un certo punto prende da un recipiente alcune noccioline e ce le porge. Io e gli altri ci siamo guardati in faccia,come a dire”Ma come facciamo ad accettare qualcosa da lei che vive in questa miseria!!”. Ma anche la nostra guida ci invita a prenderne,come segno di cordialità e condivisione.
Così sgranocchiando quelle noccioline per poco non mi scendeva una lacrima, ma quelle di gioia però!!
Grazie una nocciolina, per un istante, ci siamo seduti vicini, noi stranieri e lei zambiana, noi “ricchi” e lei “povera”, noi pieni di cose e lei senza troppe cose!!
È stato un istante, ma un istante intenso per me. La sua bellezza e la dolcezza del suo volto sembrava voler nascondere la sua difficile storia (era stata abbandonata dal marito con 3 bambini).
Uscendo riflettevo su quello che avevo appena vissuto.
È proprio vero. Più cose si hanno e più ci si allontana dalle persone. Più la corsa a possedere cose e sfrenata, e più ci si chiude, pensando che possedendo tutto quello che ci serve(e più), si possa fare a meno degli altri. E quanto tempo perdiamo in questa corsa, tempo che togliamo ai rapporti con le persone, a noi stessi...alla vita!! Forse dovremmo davvero, io per primo, sbarazzarci di tante COSE inutili, per vivere meglio la vita, e soprattutto per condividerla.
La semplicità di quella ragazza. Il suo non avere nulla in casa, di suo, a parte quelle noccioline da sgranocchiare insieme, e il suo tempo da condividere. Altra lezione. Bene Davide, incartala anche questa e mettila via....ti potrà servire un giorno quando ti chiederanno qualcosa o ti farai prendere troppo dalle cose da possedere!!
Mentre faccio questi pensieri guardo giù dalla collina. Da qui si domina veramente tutto il compound. Case e tetti ammassati. Voci, suoni e odori. Gente che cammina e soprattutto storie. Storie difficili, violente, ma anche di speranza, di lotta...tante storie che si intrecciano in quel groviglio ammassato di baracche.
In lontananza imperioso, spicca in fondo alla vallata il mega depuratore, dove arrivano tutte le fogne della città, le fogne dei ricchi(forse anche le mie). Ma i liquami del compound no. Quelli corrono a cielo aperto...la merda dei poveri e costosa da smaltire, e soprattutto non possono pagare per smaltirla! Anche in questo sono gli ultimi!!
Riscendiamo la collina per andare verso il cimitero del compound, la nostra prossima tappa
Alla nostra destra sento un gran vociare...decine di donne con la pala in mano stavano preparando una nuova zona del compound, da noi sarebbe una lottizzazione. Ancora donne al lavoro.
Egli uomini? Tanti sono sparsi nei vari pub, ad annegare la propria vita nell’alcol, che annebbia la mente, ma anche i pensieri.
Qui sono le donne che portano avanti la vita:la famiglia, il lavoro, i figli, le faccende domestiche...tutto!!
Di certo non tutti gli uomini sono uguali...anzi!!! molti sono quelli che all’alba partono con le loro bici cariche di carbone verso la città in cerca di guadagnare qualche spicciolo. Oppure che con la falce in mano vanno verso le ville dei ricchi a cercare qualche prato da tagliare. Ne vedo molti di questi uomini, ogni giorno. E vedo le loro fatiche e il loro faticoso cammino quotidiano verso la conquista di un nuovo giorno da vivere dignitosamente!!
Arriviamo finalmente al campo santo. È un luogo molto frequentato qui, ma non dai vivi che vanno a trovare i cari defunti. La mortalità a causa di AIDS, TBC e malaria è altissima. La morte è una compagna di vita per quasi tutte le famiglie e non passa giorno che qualcuno venga seppellito.
È la triste realtà quotidiana. Già la morte è inevitabile, ma qui anche quando sarebbe evitabile, mancano i mezzi per contrastarla, e si muore ancora di malaria, curabile se diagnosticata, con poche medicine.
Da questo luogo di morte ripartiamo verso il centro nutrizionale, fine del nostro cammino. Mi giro e vedo ancora i bambini che mi seguono. La VITA che portano con il loro sorrisi sembra spingermi fuori dai miei tristi pensieri. Faccio una finta, mi giro e li rincorro per un po’. Loro divertiti scappano e subito si riavvicinano.
In mezzo a questa mattinata passata nel compound quanta vita ho vissuto, quanta miseria ho visto, quante storie mi sono state raccontate, quanta speranza ho respirato.
E quei bambini, la mia scorta, mi stavano dando l’ultimo messaggio prima del mio ritorno a casa:”Davide, corri, ci siamo noi che ti spingiamo. Non fermarti davanti alle ingiustizie, non abbatterti troppo davanti alle situazioni che non riesci ad accettare, non farti prendere dal pessimismo quando vedi che le ingiustizie a questo mondo non sembrano diminuire, non perdere il tuo tempo a farti troppe paranoie mentali!! Ci siamo noi qui dietro che ti scortiamo e che ti spingiamo!!”. Ma io mi chiedo, che futuro potranno avere questi bambini? Diventeranno alcolizzati anche loro? Una volta lasciati i loro giochi e la loro innocenza, che mondo troveranno?
Ma di nuovo sento che con i loro sorrisi e le loro corse sono li dietro di me...e non riesco a non sentirmi chiamato da loro e interpellato. Da loro, come da quell’anziana, da quella ragazza bellissima, da quei giovani ubriachi, da quella donna sulla strada.
Quei piccoli chiodi ormai sono tutti piantati e sono li per tenermi sempre sveglio ...e per provare anche stavolta a trasmettervi quello che provo.
È sera e sono sotto la doccia. Dai miei piedi ormai marroni esce tutta la polvere di una giornata vissuta per strada. “buon segno”, mi dico. Sono riuscito, almeno per qualche istante, a camminare in quella polvere, molte volte dimenticata da troppi!!
Vi ho raccontato di quei piedi sporchi!! Chissà che riesca a sporcarmeli di nuovo nel tempo che avrò da vivere qui...e soprattutto di riuscire a raccontarvi delle persone e della vita che hanno incontrato nella loro strada quei piedi!!
Vi mando un grosso abbraccio a tutti!!

Davide

P.S.non so come sia scritta questa mail, non so se i tempi dei verbi o altre cose sono giuste, non l’ho riletta e poi è tardi(è l’una!),,,portate pazienza!!!

Fra le foto, una l'ho fatta a Lusaka, la capitale dello Zambia, e centro di tutte le contraddizioni del paese.
Sullo sfondo un mega cartellone pubblicitario che propone bella luccicante una super auto...solo un'illusione per quasi tutti gli zambiani.
E sotto a questo cartellone(se fate uno zoom li potete notare)un gruppo di ragazzi di strada in riunione con alcuni dei loro "capi", si stanno preparando per la notte...da passare naturalmente on the road. Fra l'illusione di quel cartello e la vita della strada ci sono loro, con le loro vite e chissà con quali speranze per il fututo...magari di comprarsi proprio quella bella macchina.
Intanto pero' sono li' a sniffare colla, sfruttati da gente senza scrupoli....meditiamo...meditiamo!!
A me viene il magone ogni volta che rivedo questa foto, anzi e' quasi rabbia!!!

Quale giustizia?

sabato 16 maggio 2009
Spesso si sente nominare il termine giustizia nella quotidianità, nei talk show, nei tg, in molti slogan di partito, e perfino in certi “discorsi da bar”. Anche giornali e riviste ne sono pieni.
Tutti sembrano invocare giustizia per quel morto, per quella ragazza violentata, per le vittime di un terremoto, contro i finanzieri che giocano con il denaro altrui.
Anch'io nel tempo ho provato a farmi un'idea di cosa volesse dire per me la parola giustizia.
Pensavo di saperlo, anzi di essere certo che ciò che io pensavo fosse la verità. Anche dopo i miei nove mesi vissuti in Zambia, questo termine sembrava prendere un significato sempre più radicale.
Dopo aver visto la fame, la miseria e l'abbruttimento che questa provoca nelle persone, la mancanza di qualsiasi cosa materiale, fino ad arrivare alla mancanza di speranza, che forse è cosa ben peggiore, avevo trovato la mia ricetta di giustizia per il mondo.
In fondo ritenevo giusto che tutti dovessero avere una vita dignitosa: poter avere una casa decente dove vivere, dotata magari di qualche confort, una piccola lavatrice, o una cucina anche modesta. E poi ancora un'auto per gli spostamenti, dei vestiti puliti da indossare, la possibilità di viaggiare, di avere tempo per se stessi e non solo per il lavoro. Come non avere diritto ad esempio ad un computer con cui poter comunicare col mondo, oppure ad uno stereo per ascoltare della buona musica. E poi l'istruzione, la migliore che si può e per tutti, e le cure sanitarie, perchè senza la salute tutto il resto decade.
Questa era la mia idea di giustizia, e forse lo è ancora oggi. Non sono richieste stratosferiche, anzi mi sembrano tutte cose ragionevoli e anche realizzabili.
Poi come succede per molte altre cose, funziona sempre meglio la teoria, che può essere facilmente scritta come in questo caso, oppure declamata da qualche abile oratore. Quando si passa alla realtà delle cose poi i nodi come sempre vengono al pettine.
Come conciliare queste istanze di giustizia con la situazione reale del mondo?
Se tutti avessero le cose che possediamo noi, sia materiali che immateriali, ci vorrebbero cinque pianeti come il nostro solo per estrarre le materie prime e sistemarci i rifiuti.
Se tutti avessero quelle cose che per noi sembrano scontate, un'auto, un computer, una casa spaziosa, un sacco di gadget che ci aiutano a vivere meglio, libri, dvd, addirittura carta igienica e acqua a disposizione in quantità industriali come abbiamo noi, dove troveremmo le risorse?
Questo sistema è funzionale al nostro stile di vita, gli squilibri mondiali ci permettono di poter possedere tutte le nostre “cose” e i nostri piccoli privilegi.
Anche la nostra visione di giustizia è funzionale alla nostra idea di vita. Anche ciò che pensavo io si è bruscamente ridimensionato.
Non esiste giustizia se non a partire da noi stessi e dalla nostra quotidianità.
Come possiamo pretendere che tutti nel mondo stiano come noi, quando sappiamo benissimo che ciò non sarà mai possibile per la limitatezza delle risorse mondiali?
Sarà ancora una volta l'ipocrisia che ci guiderà (me per primo), quando ci riempiremo la bocca di slogan sulla giustizia e argomenti simili. Mi rattrista sentire le tante sirene in tv che ululano questa parola, che per me ha preso significati nuovi...quanta tristezza.
Adesso forse comincio a capire cosa si potrebbe fare. Ripartire dai nostri stili di vita, dal consumare meno, dall'economia solidale. Passare dall'isolamento e autosufficienza alla condivisione e solidarietà. Consumare meno ed essere più felici è possibile, e soprattutto è più giusto.
Nella quotidianità mi sento molto coinvolto in queste tematiche, e provo a portarle avanti e a farle mie nelle piccole scelte di ogni giorno, pur nelle mie piccole grandi incoerenze.
Non mi sento solo in questa “battaglia”;molti sono i movimenti nati in questi anni che si interrogano su questi argomenti, che propongono e condividono questa nuova idea di giustizia che parte prima da noi per poi proporsi al mondo.
Ancora una volta il legame nord-sud del mondo ricompare nella sua attualità. Non possiamo parlare di giustizia se prima non ci educhiamo di essa. Solo quando sapremo dare il giusto significato a questa tanto bistrattata parola potremo star bene con noi stessi e con gli altri, e soprattutto essere testimoni ed educatori credibili, anche per le tante persone impoverite del mondo che aspettano il nostro cambiamento.

Diversi, ma uguali!

lunedì 11 maggio 2009
Il titolo di questo post potrebbe sembrare lo slogan di una campagna contro il razzismo, oppure il tema di un concorso fotografico.
In realtà si tratta del filo conduttore di una serie di incontri e laboratori organizzati nella scuola dell'infanzia “S. Maria” a Casalserugo, il paese dove vivo.
Dopo il mio ritorno in Italia dall'esperienza del Servizio Civile Internazionale, che mi ha portato a vivere nove mesi della mia vita in Zambia, le cose che avrei voluto fare erano tante.
La fatica del ritorno era quasi opprimente. Tutto intorno a me era improvvisamente cambiato. Riadattarsi nuovamente ai ritmi, alla vita, alle consuetudini del mondo Occidentale non è stato facile (e nemmeno ora ci sono riuscito del tutto, e forse mai ci riuscirò).
Mi sentivo una sorta di reduce. Tutti per fortuna mi hanno stretto in un abbraccio caloroso al mio rientro, e questo mi ha aiutato molto.
Ma da dove ripartire? Dopo aver lasciato un bel po' di sicurezze prima della mia partenza, era giunto il momento di gettarsi nuovamente verso il futuro.
Di idee molte, troppe forse. Avrei voluto cambiare il mondo, avrei voluto che tutti la pensassero come me, pensavo che i miei “sermoni” sui problemi della società e del globo, con cui tediavo tutti quelli che incontravo, dovessero essere la verità che ognuno doveva seguire…senza fare storie e senza obiezioni. Di certo con queste mega idee non sarei andato da nessuna parte. Tradurre invece tutto ciò in piccoli gesti quotidiani, in piccole testimonianze, anche a partire dal luogo in cui si vive, questo si poteva dare un senso al mio ritorno, e contribuire a diffondere e ridistribuire la fortuna che avevo avuto nel vivere tale esperienza.
Poi, come spesso capita, arriva l'occasione che trasforma il pensiero in realtà.
Donatella, coordinatrice della Scuola dell'Infanzia del mio paese e cara amica, mi ha invitato a fare insieme ai bambini un “Progetto Africa”. Fin da subito questa idea mi è piaciuta, senza però sapere minimamente da dove partire e cosa effettivamente proporre.
Ma l'entusiasmo non mancava, sia da parte mia, sia da parte di tutta l'equipe della scuola.
Così, dopo un paio di incontri, abbiamo creato insieme una scaletta di attività dal profumo africano, e in particolare zambiano.
Di spunti ne avevo a piene mani. Nove mesi al Progetto Cicetekelo, vissuti per dieci ore al giorno assieme ai bambini e ai ragazzi ospitati mi permettevano di spaziare un bel po' fra i miei ricordi.
Diversi ma uguali:partire dalle cose in comune per scoprire che , nonostante la distanza sia culturale che spaziale, sempre di bambini si tratta.
Da questa idea di fondo è nata la scaletta delle attività.
1.Presentazione dello Zambia, con una valigia piena di ricordi, oggetti, foto, carta geografica. Insomma tutto il necessario per capire chi fossero i nuovi amici che pian piano avremmo incontrato.
2.Gli animali della savana. La giraffa, la zebra, il leone, le scimmie. E poi i villaggi, le capanne, i modi di vivere dei bambini zambiani.
3.Come si gioca in Zambia? I bambini giocano anche lì, proviamo a scoprire con che cosa!
4.Laboratorio di danza e musica, con il bongo e balli al ritmo zambiano.
5.Alcuni usi e costumi. Come trasportare i cesti in testa e i bambini nella schiena.
6.Cena a menù zambiano, seduti per terra e mangiando con le mani!
Così per sei venerdì mattina sono stato ospitato da 70 piccole creature che si sono prestate alla grande nelle varie attività proposte.
Non avevo mai avuto esperienze educative con bambini così piccoli,e mi ha stupito la loro attenzione, le loro domande curiose, la voglia di conoscere, e di ascoltare ciò che raccontavo.
Mi sono emozionato molte volte. Al mio arrivo a scuola l'accoglienza era sempre calorosa.
Fin dal primo incontro, nel quale abbiamo visto le foto e i video che avevo realizzato al Progetto Cicetekelo, era già nata una grande amicizia a distanza fra i bambini.
Il divertimento poi nel trasformarsi in piccoli trasportatori, in cui ognuno doveva portare un cesto carico in testa, percorrendo un percorso ad ostacoli.
E poi improvvisarsi piccole mamme, con la piccola (bambola) legata dietro alla schiena con il chitenghe(tipico tessuto africano), proprio come le mamme zambiane.
Per i bambini è stata una sorpresa poi l'attività legata ai giochi africani, di sicuro la più attesa. Abbiamo costruito delle piccole palle fatte con materiale di recupero, e poi la corsa coi sacchi, e il percorso con le caviglie legate, giusto per citarne qualcuno. Giochi semplici, diffusi anche da noi un tempo, che per i bambini sono diventati vere e proprie nuove scoperte.
Man mano che aumentava la conoscenza con questo nuovo mondo, aumentava anche la simpatia e la voglia di approfondire, tanto che spesso chiedevo chi volesse partire con me per incontrare di persona questi nuovi amici, e magari giocarci insieme. E la risposta quasi unanime era regolarmente un coro di “Siiiiiiiiiiiiiiii”.
L'ultimo appuntamento è stato forse il più divertente. Dopo aver steso un grande telo nel pavimento, i bambini seduti tutti per terra hanno finalmente provato a mangiare “alla zambiana”. Menù a base di polenta, fagioli, uova lesse, e riso. A dire il vero non è stato particolarmente difficile per loro cimentarsi in questa attività, anzi! Forse il difficile è venuto dopo nel pulire i pezzi di cibo che nonostante il telo erano sparsi ovunque, anche nei loro vestitini.
In questo progetto tutta l'equipe della Scuola dell'Infanzia ha investito molto tempo ed energie, e i risultati si sono visti. Il coinvolgimento dei bambini è stata la testimonianza di questo impegno, che è stato portato avanti anche dai genitori stessi. In occasione del Natale hanno infatti promosso la vendita di calendari proprio del Progetto Cicetekelo, dove è stata raccolta una considerevole somma, tutta versata per far fronte alle enorme spese di gestione e funzionamento delle strutture in Zambia.
Non so spiegarmi del tutto il successo di questa iniziativa, partita sicuramente in maniera semplice e forse non troppo organizzata. Non mi aspettavo di certo un coinvolgimento del genere.
Di sicuro per me è stato un buon banco di prova per mettere a disposizione ciò che ho vissuto, e per sperimentare questa tanto declamata educazione alla multiculturalità, magari con i miei insufficienti strumenti, ma con la grande voglia di mettermi in gioco nella quotidianità.
Questo piccolo gemellaggio a distanza fra bambini, questo scambio di culture attraverso semplici gesti e attività ha portato un po' di sana positività, anche negli adulti.
I bambini lo sappiamo si mettono facilmente in gioco, si lasciano trasportare dalle emozioni e dalla voglia di scoprire cose nuove, arrivando ad accettare di buon grado l'esperienza della diversità.
Nei grandi invece questo avviene un po' meno. Abbiamo il cuore più duro,e siamo a volte messi alla prova dalle cose della vita e da tutto ciò che sperimentiamo e che ci viene raccontato nella quotidianità.
Le notizie di ronde per la sicurezza, di emergenza criminalità, la paura della diversità, vista spesso come stereotipo, il condizionamento che subiamo ogni giorno da parte dei media.
Tutto ciò di certo non aiuta a migliorare le relazioni già difficili fra diverse colture, e tanto meno ci stimola a conoscere ed apprezzare le diversità, facendoci barricare dietro alle nostre sicurezze.
Questo esperimento invece è andato oltre. Oltre le diversità, che pure esistono, fino ad arrivare alle cose che ci rendono simili.
Sentirsi bambini in Italia come in Zambia, con la stessa voglia di giocare, mettersi alla prova, scoprire, di rompere le scatole a volte, ma sempre con la grande genuinità che solo i bambini possiedono e che ogni volta sembrano volerci insegnare.
Una piccola esperienza di certo, ma grande per il significato simbolico, una goccia in mezzo alle mille cose che vivranno questi bambini. Ma pur sempre un inizio, un piccolo punto interrogativo che ci invita a fermarci e a domandarci come poter apprezzare le nostre diversità, senza farci fermare da esse.
Anche questa è educazione, partita dallo Zambia e rimbalzata fino al mio sperduto paesino, e di nuovo ripartita verso quei bambini del progetto Cicetekelo diventati inconsapevoli educatori, in uno scambio che vuole continuare...nel segno di “Diversi ma uguali”.

Ora commenti!

sabato 9 maggio 2009
Acausa di un problema al layout del blog non era possibile scrivere commenti ai post.
Problema risolto...ORA ASPETTO I VOSTRI COMMENTI!
Ciao a tutti.